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- POSSO PRENDERE IL BAMBINO?
A quante di noi è successo di sentirsi Gollum de "Il Signore degli Anelli" quando ci hanno chiesto "Posso prendere il bambino?" Spesso accade che ci chiedano di prendere il nostro bambino in braccio, oppure di accarezzarlo o di baciarlo. Molto spesso lo fanno anche con una certa insistenza. Poiché siamo mammiferi e non esiste alcuna specie di mammifero che permetta agli altri di toccare i propri cuccioli, il nostro istinto è quello di proteggere il nostro bambino, tenendolo sempre a contatto con noi. Cara mamma, ricorda che nessuno può obbligarti a farlo; se non te la senti di lasciare che gli altri prendano in braccio il tuo bambino, non farlo! Spiega con i giusti toni che preferisci tenerlo stretto a te, vedrai che capiranno. E se non capiranno, da brava mammifera, avrai comunque protetto "IL TUO TESSSOOOROO" Photo @inna_s_art
- QUANTO È PRESENTE IL TUO COMPAGNO?
L’importanza dei ruoli nella vita di coppia Sempre più spesso seguo coppie che hanno difficoltà sull’essenza della “presenza” I partner possono dedicarsi presenza-assente, l’uno per l’altro, cioè esserci fisicamente nel ruolo che hanno scelto di assumere svolgendo il loro “compito” pur senza il coinvolgimento mentale, energetico che dà essenza alla comunione; oppure presenza-presente dove la comunione è il capostipite della coppia che si serve della comunicazione per esprimerla, dove la diversità non ha limiti in termini di fiducia, rispetto, scambio… Il segreto per la creazione di solide basi nella coppia? È la comprensione! Comprendere che accogliere l’altro, con l’ascolto (se in una conversazione stai già pensando alla risposta da dare, non stai ascoltando il vero bisogno che l’altro cerca di esprimere) ed il rispetto che merita pur se non si incontra con il nostro modo di fare o di pensare, non significa sottostare ma continuare ad imparare… Comprendere senza per forza dover capire… Foto di Orione Conceição
- "NON SONO UNA MAMMA PERFETTA"
Mi arrabbio. Sì, lo dico senza vergogna… forse un po’ di vergogna sotto sotto ce l’ho, e anche di senso di colpa. Ma ora basta, lo dico comunque. Mi arrabbio. Non sono una mamma perfetta, non sono una persona perfetta. Non sto al passo dell’immagine di madre sempre accogliente e pronta a sostenere emotivamente tutte le sfumature che vedo emergere in mia figlia, tutti i pianti e le richieste (a volte incomprensibili perché ancora non parla). Io ci provo, lo giuro ci provo, ma in certi momenti mi sale una gran rabbia e non so bene cosa farci, con quella spiacevole e scomoda emozione, che in un attimo invade tutta la stanza e vorrei scappare, vorrei lanciare in aria quel pannolino che non riesco a mettere perché la cucciola si dimena troppo, vorrei prendere a pugni il saccone da box, o dare un calcio ai miei vestiti a terra che ancora non sono riuscita a mettere in lavatrice, vorrei buttare nel bidone quel riso scotto, che ho cucinato, perché ho perso la cognizione del tempo, mentre cercavo di cullarla e rilassarla, vorrei per un attimo uscire in strada e urlare “bastaaaaa, non ce la faccio piùùùùù!!!” Poi ritorno in me e guardo la mia bimba negli occhi e mi viene da piangere, perché mi sembra che lei meriti di meglio, di una mamma che a volte cede e si arrabbia… Quante di noi madri si è sentita almeno una volta così? È importante innanzi tutto riconoscerlo, ammetterlo e accoglierci per ciò che siamo, persone… le idee di perfezione e giustizia, sono appunto “idee” Noi siamo umane, e per quanto sia sano e bello puntare a raggiungere ciò in cui crediamo e tentare di incarnare i valori che sentiamo affini a noi nella maternità e nella vita, abbiamo anche fragilità e punti deboli, oltre a doti e virtù, e va bene così. Ci sono giorni particolarmente stancanti, avvilenti, complicati e che ci mettono a dura prova, notti insonni e qualche preoccupazione, momenti in cui vorremmo dedicare anche solo 1 minuto a noi stesse, perché ne abbiamo bisogno, o perché ne abbiamo una gran voglia, solo per un momento, pensare solo a noi e darci una passata di crema in viso o farci una doccia senza fretta, ma il nostro essere madre “chiama”, il/la nostr@ bimb@ chiama e noi abbiamo scelto di essere una madre sempre presente e pronta a soddisfare ogni esigenza del nostro neonato, perché ci crediamo profondamente, eppure… può succedere che sentiamo montare una certa “onda” di rabbia… Oggi voglio ricordare a voi e a me che va bene! Oggi voglio ricordarmi che sono umana, che anche io ho dei bisogni e dei desideri, che non sempre riesco a soddisfare, e una parte di me chiede a gran voce la mia attenzione in quel momento. Una parte di me mi chiede di essere vista. Una parte di me “attiva” quella rabbia, come quasi una risorsa, un campanello d’allarme, che mi ricorda che esisto anche io! Sì, io esisto! Sono madre, ma ho anche io bisogni e desideri da soddisfare, e quella rabbia arriva proprio per farmi fermare un attimo a cercare equilibrio. Ci vuole equilibrio. E ci vogliono compromessi sani tra “le parti che compongono la mia personalità”, ci vogliono “nuovi accordi” tra la madre che è in me, che si è donata completamente a sua figlia, e la bimba che è in me, che ha bisogno anche di leggerezza, e l’adolescente che è in me, che si vuole divertire e concedere di incontrare un’amica per fare due chiacchiere, ci vogliono “nuovi accordi” con la mia parte “yogica” che mi chiede di ritagliarmi un momento per fare qualche allungamento e un’asana per la mia schiena dolorante, con la mia parte “studentessa” che vuole seguire un webinar di 3 ore al pc… Ci vogliono nuovi equilibri da ricreare ogni giorno, dentro e fuori di noi, per essere donne e madri serene, presenti e comunque felici, perché siamo con nostr@ figli@ ma siamo anche con noi stesse e per noi stesse. L’importante è non giudicare quella rabbia e usarla, trasformandola, vedendola come alleata. Mi fermo e mi chiedo: di cosa ho bisogno? E se da sola non riesco, perché anche questo è umano, mi permetto di chiedere aiuto. Foto di Liza Summer
- FIGLI DI INTERNET
Cammino tra gli scaffali di una piccola libreria e, come spesso mi accade, sento il richiamo della copertina di un libro. Un neonato raggomitolato su se stesso è rappresentato con il suo cordone ombelicale, cordone che però non lo unisce alla placenta della mamma, bensì a una rete wi-fi. “ Figli di Internet ” è un libro di recente pubblicazione (2022, Ed. Centro Studi Erikson) che si presenta come guida semplice e chiara adatta a tutti, e non solo agli addetti ai lavori. La grafica accattivante e il linguaggio diretto lo rendono una lettura fluida e piacevole. Gli autori, Matteo Lancini e Loredana Cirillo, entrambi psicologi e psicoterapeuti, toccano numerosi aspetti del fenomeno preso in esame, condividendo riflessioni non banali su temi di estrema attualità. La riflessione parte dal concetto di “onlife” (Floridi, 2017), ovvero quella nuova forma dell’esistenza in cui siamo immersi, all’interno della quale il confine fra reale e virtuale è spezzato e non ha più senso distinguere tra “online” e “offline”. Noi genitori siamo i primi a dare inizio a questa esistenza “sotto i riflettori” della rete. Scopriamo di aspettare un bambino? Post con la foto del test di gravidanza; prima ecografia? Condivisione con tutta la rubrica tramite il proprio stato Whatsapp (compreso il fattorino della nostra pizzeria preferita); nasce il bebè? Scatti fotografici a tutte le ore che nemmeno i paparazzi per i reali d’Inghilterra! Questa è ormai la quotidianità nella quale siamo immersi. Gli esperti sottolineano in un passaggio che “quanto più abituiamo i nostri figli a comportamenti esibitivi, alla ricerca del riconoscimento e dello sguardo di ritorno degli altri, tanto più questi meccanismi saranno radicati dentro di loro” Il testo continua trattando il tema del controllo sull’uso dei dispositivi, necessario e non delegabile da parte degli adulti di riferimento, come ad esempio: - il “no” come limite di fondamentale importanza per la crescita e lo sviluppo sano del bambino; - i videogiochi, da non vedere come un nemico da combattere ma come una forma di intrattenimento che spesse volte veicola l’aggressività; - i social network come odierni luoghi di incontro da non demonizzare ma da imparare a conoscere. “Attraverso i like e i commenti che si ricevono si costruisce un’immagine di sé agli occhi degli altri che, anche se fittizia e parziale, consola, sostiene e fa sentire importanti, visibili, apprezzati” Uno spazio di riflessione importante viene aperto anche sul tema del vissuto del proprio corpo attraverso la lente dei filtri, del selfie e del sexting (ovvero lo scambio di foto intime). Il selfie viene definito come “il comportamento oggi più diffuso per dare voce al bisogno di valorizzazione e di riconoscimento. Attraverso questa moderna forma di autoritratto spesso si persegue la visibilità sociale: ci si mette al centro della scena, lasciando monumenti e bellezze naturali sullo sfondo” Risulta chiaro, dunque, che il valore che si va a celebrare è il proprio. “Le immagini del mondo fanno da cornice alla narrazione e all’esaltazione del proprio sé” Tanti gli spunti di riflessione che ci interrogano e stimolano a guardare i nostri comportamenti prima di giudicare quelli dei nostri figli. Il messaggio di sottofondo è comunque positivo: conoscere, approfondire, condividere spazi di dialogo con i più piccoli. Non lasciamo i ragazzi da soli nelle loro vite virtuali, aiutiamoli a gestirle con responsabilità. Buona lettura!
- FAMIGLIE IN-QUIETE
Da diversi anni, tra i magneti, sul nostro frigorifero c’è la frase di Becky Bailey che dice: ‘Quando voi stessi sarete un esempio di autocontrollo, i vostri figli mostreranno un autocontrollo che non avreste mai pensato potessero avere’ Se riusciamo sempre a tener fede all’affermazione? No. Siamo umani e sbagliamo. Ci chiediamo scusa, ci raccontiamo i motivi delle reazioni e ripartiamo. ‘Ma se chiedo scusa non sarò meno credibile?’ ha chiesto una volta un papà in un Percorso di Accompagnamento alla Nascita. ‘No, sarai giusto, leale e i tuoi figli lo apprezzeranno’ I nostri figli, con quello spiccato senso della giustizia e quella implacabile sete di argomentazioni, apprezzano. Perchè parto dall’autocontrollo e dall’argomentare le proprie scuse quando lo si perde? Perchè le nostre storie di genitorialità si muovono come sulle montagne russe e sono piene di salite e brusche discese e poi adrenaliniche svolte panoramiche e poi ancora tratti in cui si scende giù in picchiata per risalire d’un fiato. Per vivere questo movimento costante occorre essere saldi e compassionevoli: mostrare autocontrollo e non temere la propria vulnerabilità, non credersi impeccabili. Il primo atteggiamento salverà la famiglia dalla deriva, il secondo salverà noi da una idea di perfezionismo poco utile e funzionale. Siamo, tenendo sempre a mente l’immagine delle montagne russe, delle famiglie inquiete. L’ inquietudine è definita nel dizionario un turbamento, uno stato di apprensione e preoccupazione. In realtà, è molto di più. C’è chi l’ha definita la nostalgia dell’essere , poiché il cuore inquieto è tipico di chi non si accontenta di un orizzonte limitato, di risposte preconfezionate, di relazioni imballate con la plastica del perbenismo. Questa benedetta inquietudine è un passaggio, una possibilità essenziale che ci è data, per ascendere a nuovi livelli di coscienza e pertanto di esistenza. Chi si accontenta delude le aspettative enormi della vita stessa. ‘Tutto qui?’ sembrano chiedere gli occhi profondi dei nostri figli in certe giornate, specie a scuola. No, non è tutto qui. E per affermare questo NO ci vuole un orizzonte interiore più ampio che preveda la capacità di stupirci ancora di ogni attimo, di tutte le cose. Di accogliere la vita. Dove trovare questa distesa di possibilità se non dentro noi stessi? Noi siamo Tutto Possibile . I nostri figli lo sanno, la nostra società cerca con forza di farglielo dimenticare e noi? Forse lo abbiamo dimenticato e questo non ci permette di rinforzare questa credenza nei nostri ragazzi. Non si può dare ciò che non si ha. Se non lavoriamo amorevolmente su noi stessi non possiamo essere in grado di lavorare come padri e madri. Arrancheremo e ci sfibreremo, perché spesso le nostre giornate sono come vivere con un frullatore perennemente acceso e... senza coperchio! Se c’è un guasto in aereo, e siamo con i nostri figli, ci viene indicato di indossare per primi la maschera dell’ossigeno, altrimenti l’ipossia ci impedirà in pochi istanti di aiutare anche loro. Salvare noi stessi per salvare loro . Questo è il grande atto d’amore che ci è richiesto. Prenderci cura di noi per poter crescere insieme ai nostri figli armoniosamente. Ognuno ha le sue vie per portare a compimento questa inquietudine e trasformarla in una strada aperta sul Tutto Possibile. Vi racconto la mia. Medito da quando avevo 15 anni. Il perché l’ho capito quando abbiamo conosciuto il mondo della plusdotazione grazie ai nostri bambini. Una mente straripante, sempre in moto, sempre attiva nel creare mondi e mondi, una emotività ramificata fin nell’ultimo spazio dell’essere, che quei mondi li sentiva. C’era una inquietudine in me, una sete di senso, che nulla sapeva saziare. Nè la scuola, né le relazioni. Le aspettative erano sempre troppo alte e quindi immancabilmente deluse. Ovunque. Sempre. Fino a quando non si è aperto, da quella inquietudine, un varco. Attraverso la meditazione ho cominciato piano piano a lavorare sul mio orizzonte, lasciando che gli altri facessero le proprie scelte, che le cose intorno restassero le stesse mentre io mutavo senza sentirmi legata alle vite degli altri. Il processo non è ovviamente terminato, anzi! L’essere madre (e madre di bambini plusdotati!) ha dato una sferzata non di poco conto alla mia storia personale, alla nostra storia di coppia e poi di famiglia. L’inquietudine ha aperto la strada alla quiete. La apre continuamente. Solo dopo un temporale si apprezza la quiete, e come sono belli quei cieli dopo la pioggia, quando l’aria è come rinnovata e il mondo sembra al suo primo giorno di possibilità! Attraverso la meditazione ho sperimentato una potenzialità su tutte, quella di permettermi diricominciare sempre. Da ogni respiro. Perchè la meditazione è lo stato naturale dell’umano. Ciò che si sperimenta durante la pratica è d’essere il palcoscenico a scena aperta di tutte le possibilità della vita, come quando si viene al mondo. Meditando si è ricondotti nel grembo stesso della vita e partoriti alla nostra autentica dimensione per vivere una vita autentica, piena. La nostalgia dell’essere trova casa in un faccia a faccia con l’essere stesso. In meditazione non si può barare, si è nudi davanti a se stessi. Si fa la verità. Questo è il mio più grande aiuto alla mia storia di madre. La meditazione acuisce la consapevolezza, ovvero la capacità di essere presenti a se stessi, e questo ci offre l’occasione per non reagire impulsivamente agli eventi ma scegliere la risposta giusta. Con i nostri figli questa capacità è salvavita. Ed è solo una delle chiavi possibili. Il fulcro è sentirsi, con loro, in cammino nella pienezza della vita. Piccola pratica meditativa Ogni meditazione parte dal corpo che siamo. Mi siedo in una postura stabile e comoda. Sento il corpo, ad occhi chiusi. Il grande volume delle gambe mi permette di sperimentare la stabilità. Il tronco, ed in particolare la colonna vertebrale, mi da l’occasione di sentire la flessibilità. La testa, così spesso carica e pesante, è leggera sul collo. Respiro attraverso le narici e pian piano lascio che il respiro discenda fino all’addome. Immagino, se non riesco a sentire un sole dai raggi rosati che si leva dall’addome fino a raggiungere il suo culmine nel luogo del cuore. Ad ogni respiro una nuova aurora. Resto in questo luogo di quiete per un tempo che gradualmente può aumentare di pratica in pratica. Con gentilezza ascolto nuovamente il corpo, le mani, i piedi, la colonna vertebrale. Ritrovo connessione con lo spazio nel quale mi trovo. Riapro gli occhi. Riparto per una vita che sia ‘nuove possibilità ad ogni respiro’ Foto di Pavel Danilyuk
- I BAMBINI NON HANNO PAURA DI CADERE
I bambini non hanno paura di cadere. Né hanno paura di far cadere le cose. Osservo mia figlia, sul seggiolone, con qualche giocattolo in mano e la maggior soddisfazione la ottiene quando butta tutti i pupazzi per terra. Si sporge dal seggiolone con aria soddisfatta a guardarli, laggiù, un po’ ammaccati, ma a lei non interessa. Ha perturbato lo spazio con i suoi gesti, con la sua presenza, con la sua volontà ed è questo il solo successo che conta per lei. In quel momento. Non c’è alcuna paura della conseguenza. La conseguenza non esiste. Esiste solo causa-effetto e poi quello che verrà dopo è tutta scoperta, tutto nuovo… meglio che sia nuovo… non c’è attaccamento… non c’è nient’altro che l’adesso. Tutto si rompe prima o poi, tutto subisce una trasformazione, e forse è proprio quello che attende il bambino, vuole meravigliarsi. Mi riscopro, osservando mia figlia, in una lotta interna tra due parti di me, o forse più, che si parlano contro. “Nooo, non farlo cadere! Ti prego! È nuovo. Facciamolo arrivare integro fino a Natale!” E una parte che riconosce quanti giudizi diamo ad ogni cosa e quante paure abbiamo di affrontare cambiamenti, sorprese, quanto vorremmo che tutto restasse perfetto e immacolato e per sempre. Ma quando mi fermo a pensarci su, guardandola buttare tutto a terra, vedo meglio. Se riesco a fermarmi prima di reagire, prima di afferrare al volo quell’oggetto cadente, prima di farmi scappare quel “no”, prima di preventivare la catastrofe, e se riesco a donare a mia figlia la fiducia di esplorare, in sicurezza, e di meravigliarsi… ecco, se riesco, si apre un’immensa possibilità anche per me, la possibilità di abbattere limiti che mi ingabbiano, di uscire completamente da quelle catene di pensiero che ci sono state tramandate, che valutano sempre il rischio e mai la potenzialità di successo, e che ci dicono cosa è giusto e cosa sbagliato. Attraverso gli occhi di mia figlia vedo che non c’è questa così netta differenza, vedo che, se un gioco si romperà, se il bicchiere cadrà, se si farà un buco nei pantaloni, o sporcherà la maglietta di sugo, se mangiando da sola si imbratterà tutta la faccia e pure i capelli, se, e mi permetto di dirlo, cadrà… perché tanto cadrà prima o poi per fare i suoi primi passi, per imparare a muovere il suo corpo, per apprendere il movimento, cadrà, come siamo caduti tutti… come cadiamo tutti nella vita… salite, discese, cadute e tentativi di rialzarci, di riprovarci… vedo che, se tutto questo accadrà, sarà per crescere, evolvere, migliorare, vivere. Tenendola lontano da tutti questi fallimenti, la renderò solo impaurita e inibita, incitandola a fare ciò che desidera invece garantirò l’espressione della sua identità. Certo, fornendole strumenti e facendomi “stampella da scalare” se vorrà farsi forza su di me per mettersi in piedi, io sarò lì con tutta la mia presenza e supervisione per il reale pericolo che da sola non riesce ancora a vedere, ma quanti reali pericoli ci sono? Questo è il lavoro grosso da fare per me genitore. Questa è la grande domanda del mio camminare sulla mia strada personale… quali sono i reali pericoli e invece quali sono sfide, sabotaggi, paure ereditate, prove, novità, occasioni. Mi trovo a notare sempre più spesso che la bellezza e la soddisfazione stanno al di là della mia paura di cadere e quasi sempre, dopo il precipitare, ci sono “le molle” che mi rilanciano in nuove avventure… o qualcuno pronto a prendermi... E mi meraviglio. Foto di Inyambo Picture
- BAMBINI PLUSDOTATI: CHI SONO E COME RICONOSCERLI
Alto potenziale cognitivo. Plusdotazione. Gifted children. Queste le parole utilizzate per descrivere una variegata categoria di bambini e ragazzi dotati di un’ intelligenza superiore alla norma e al contempo di una marcata sensibilità , di un mondo emotivo complesso. Questo particolare insieme di caratteristiche riguarda circa il 5-3% della popolazione. Cioè uno studente su venti. Purtroppo sono ancora troppo pochi i docenti e i pediatri preparati; e anche i genitori spesso, non riuscendo a darsi una spiegazione sulle caratteristiche del loro bambino, si sentono soli e spaesati. Chi sono veramente i bambini plusdotati? E come può un genitore imparare a riconoscerli? “Avere capacità sopra la media significa avere costantemente l’emozione a fior di labbra e il pensiero ai confini dell’infinito” J. Siaud-Facchin Il bambino plusdotato viene al mondo con un dono in più (da qui la denominazione inglese “gifted”), sin dal concepimento sviluppa peculiari caratteristiche inerenti il suo funzionamento cognitivo ed emotivo. Nei primi anni di vita, sarà l’ambiente a sostenere e permettere lo sviluppo del suo potenziale o al contrario a frenarlo. La famiglia prima e la scuola poi, hanno l’arduo compito di rendere il terreno fertile, affichè i doni ricevuti non vadano sprecati. Non è semplice, ma fare informazione e iniziare a riconoscerli è già un primo passo, ricordandoci sempre che ognuno è unico e irripetibile. I bambini plusdotati, confrontati con i loro coetanei, sono molto precoci nelle tappe evolutive. Sono bambini con una memoria eccezionale che consente loro di ricordare e imparare in fretta; estremamente curiosi e interessati a tutto ciò che li circonda, pongono numerose domande agli adulti di riferimento, genitori, nonni, maestre e chiedono continuamente il perchè delle cose per un bisogno di conoscere e comprendere tutto, come se dovessero saziare una sete incessante di conoscenza. Sono sempre alla ricerca di spiegazioni e non accettano facilmente risposte superficiali. La loro curiosità li porta a sperimentare continuamente, mettendosi talvolta in situazioni pericolose. Oltre a una grande creatività sono accompagnati da un’intensa immaginazione, può capitare che abbiano un amico immaginario sin dai due anni o riescano a sviluppare un gioco simbolico (facciamo finta di...) molto ricco e complesso. Sono bambini con interessi molteplici e selettivi. Alcuni di loro passano da una passione all’altra e una volta esaurito l’interesse, perché tutto è stato appreso e soddisfatto, passano a un nuovo interesse lasciando i genitori profondamente stupiti, altri invece pongono la loro attenzione su un unico interesse che viene sviscerato in tutte le sue forme (per es. l’universo; il mondo animale; uno strumento musicale; etc). La loro concentrazione è intensa, se interessati a qualcosa, possono notare più dettagli di un adulto. Sono bambini con spiccate abilità verbali, molti di loro iniziano a parlare precocemente e mostrano da subito un vocabolario più ricco rispetto ai bambini della stessa età. Sono spesso autodidatti nella lettura e nella scrittura, amano i libri, i documentari e i numeri. Hanno una grande energia, che può sembrare inesauribile, soprattutto agli occhi delle mamme e dei papà stremati dal loro continuo essere in movimento con il corpo, la mente e il cuore. Possono avere bisogno di poche ore di sonno per ricaricarsi e tornare alla carica. Sono bambini ipersensibili ed empatici, mostrano reazioni emotive molto forti, ai nostri occhi “esagerate”, come forte rabbia, crisi di pianto, paure inconsuete. Hanno un’elevata sensibilità e sono molto attenti ai temi di attualità, come ad esempio il rispetto per l’ambiente, la pace; hanno alti sistemi valoriali e non tollerano le ingiustizie. Insomma, sono bambini che vengono al mondo con una luce negli occhi davvero unica e speciale. Tocca a noi adulti continuare ad alimentarla di meraviglia e non farla spegnere mai. Foto di Andrea Piacquadio
- RitrovARTI MAMMA
Mi sono ritrovata mamma improvvisamente, così, da un giorno all'altro, e non intendo che la mia bimba non sia stata sognata, desiderata, cercata, anzi la volevamo ardentemente sia io che il mio compagno. Voglio dire che tutto è avvenuto così velocemente, che non ho avuto alcun tempo di realizzare l'effettiva e prorompente trasformazione che stava avvenendo in me e nella mia vita; intendo dire che nessuno ti avvisa che la maternità è una svolta brusca, destabilizzante e violenta, per quanto dolce e gustosa, che è netta e tagliente, e taglia via tanto, quasi tutto il superfluo di certo, "taglia" te in tante piccole parti e ti ricompone e a volte qualche pezzo lo perdi e ne acquisti di nuovi. A volte taglia realmente il tuo corpo con smagliature o cicatrici e nulla torna come prima, e credo sia giusto non provare nemmeno a far tornare qualcosa, ma molto meglio osservare il nuovo che ti è stato donato e iniziare ad amarlo profondamente con tutta te stessa. Non parlo solo del tuo "cucciolo", che è quasi sempre spontaneo amare oltre misura, ma anche il tuo nuovo corpo, la tua nuova te interiore ed esteriore. Amarti con grande cura e accettazione, con tanta umiltà, sentendo tutta la forza che il parto ti ha donato e che il crescere tuo figlio o tua figlia ogni giorno, con tutte le continue prove e difficoltà del caso, ti ha dimostrato. Amarti come donna RiNata, RiTrovata. Un giorno ti alzi e ti guardi allo specchio e ci trovi un'altra, non ti riconosci subito, forse ti spaventi, molto probabile che ti spaventi, perchè ti senti un po' derubata, come se un ladro fosse entrato in casa tua e ti avesse sostituita con un'altra. E questo può farti un'immensa paura, ma se guardi bene è l'opportunità più grande che ti possa capitare nella vita e ora non hai che da scegliere come procedere, come creare abitudini ed equilibri diversi, come prenderti cura di lui/lei e di te in un modo rinnovato e chissà magari più sano, magari più saggio e maturo, o magari solo più adatto a chi sei ora, e chi sei va RISPETTATO e TUTELATO. Questo lavoro di Ascolto e Riscoperta lo sto vivendo sulla mia pelle, con alti e bassi, con paure e nuove certezze, con cadute, pianti, salti mortali e sorrisi, con ansia del controllo e di pulire casa e poi con un sano "chissenefrega, lo farò quando riesco" e un balletto davanti allo specchio con mia figlia che ride. E solo allora senti profondamente che le cose importanti e che desideri adesso sono pochissime e semplici, molto più semplici di prima. In quell’esatto istante in cui realizzi tutto questo, proprio lì, quando un dubbio si insinua e ti chiedi “ma starò facendo bene?”, vai avanti, datti valore, ascolta il tuo sesto senso materno, che è in contatto con l'Intero Universo e tanti piccoli giganti miracoli quotidiani iniziano ad accadere e il cuore sorride. Se ci sono rari momenti di silenzio mentale, mentre osservi quello che stai vivendo, quello che si sta creando dentro e fuori di te e il tuo cuore sorride, sei sulla strada giusta, persevera, datti una pacca sulla spalla e ringrazia. Se senti costante malessere e la via buia, faticosa, i piedi e le spalle troppo doloranti e la mente parla parla parla, forse hai bisogno di un'amica che possa ricordarti di quanto sei speciale e di quante risorse e capacità possiedi e che magari hai dimenticato, forse hai bisogno di essere sostenuta e ricevere un piccolo o grande aiuto, perchè è immensamente onorevole saper chiedere aiuto e riconoscere i propri limiti, forse una parte di te, piccola, impaurita, sola, triste, indifesa, necessita di essere vista e accudita, abbracciata, forse anche il tuo corpo chiede di essere visto e amato, coccolato. Ecco allora che mi metto al servizio delle neomamme come me, per condividere SALUTE, ARTE, BELLEZZA E ASCOLTO. Foto di Pixabay
- IL CAPOPARTO: COS’È?
È la Prima Mestruazione dopo il Parto. Ma quando arriva? E cosa significa? Il Periodo dopo la nascita è un momento tanto particolare quanto speciale sia per il bambino, che per la mamma. Ma sei soprattutto tu che per la prima volta (o seconda o terza, sarà sempre bellissimo e sempre come la prima!) da madre, ti trovi ad affrontare intense sfide e tante, tantissime novità! Dovrai trovare nuovi ritmi, nuovi equilibri per gestire al meglio il nuovo arrivato, per bilanciare i tanti impegni che erano stati messi in stand by proprio con l’arrivo della gravidanza, per creare una nuova alchimia all’interno del nucleo familiare. Ovviamente non devi mai dimenticare che in questo periodo così delicato il tuo corpo ed il tuo benessere DEVONO avere la precedenza su tutto; questo perché proprio da te dipende la perfetta organizzazione della tua nuova famiglia. Quindi prenditi del tempo, riposati, concedi al tuo corpo il tempo necessario alla ripresa. Programma una visita specialistica per il post partum per valutare che tutto stia procedendo in fisiologia e nel rispetto dei tuoi tempi e del tuo corpo. E inevitabilmente, con il termine della gravidanza, tornerà anche il ciclo mestruale con il "capoparto", ossia la prima mestruazione dopo il parto, che avviene tra le 8 settimane e i 18 mesi. Ma da cosa dipende e cosa indica? Nei 40 giorni dopo il termine della gravidanza, tutto l’apparato genitale della donna torna alla normalità, l’utero assume nuovamente la sua forma (e dimensione) originaria e il capoparto è il segnale che il nostro corpo ha ripreso la normale capacità riproduttiva. Per farla breve, è un segnale di normalità IMPORTANTISSIMO. Ovviamente non è l’unico, ma è importante saperlo riconoscere o non preoccuparsi se non arriva, proprio perché, come hai visto, non v’è un tempo preciso perché si manifesti. Ma allora da cosa dipende il tempo necessario ad avere la prima mestruazione dopo il parto? Principalmente dal livello di prolattina prodotto dal nostro organismo che è appunto un inibitore del ciclo mestruale: se il livello di prolattina è elevato (magari perché stai ancora allattando), è possibile che il capoparto non arrivi o arrivi molto dopo rispetto magari a una donna che per scelta o necessità non sta allattando. E voglio anche risponderti ad una classica domanda: Visto che non ho ancora avuto il capoparto e quindi non ho il ciclo perché sto allattando, posso rimanere incinta? Assolutamente si! Non avere la mestruazione, non ti mette al riparo da una gravidanza e quindi il mio consiglio è quello di prendere le dovute e necessarie precauzioni se tu non vuoi avere un altro figlio! Foto di Sora Shimazaki
- CORD BURNING: L'ALTERNATIVA DOLCE AL TAGLIO DEL CORDONE
La salvaguardia della salute di un bambino che viene al mondo passa attraverso pratiche non invasive attuate subito dopo la nascita, proprio come il Cord Burning. Ma cos’è il Cord Burning? È una pratica nata ad Haiti che permette di separare mamma e neonato senza fretta e senza tagli al cordone, attraverso il calore. Poiché l’ombelico rappresenta il nucleo e la porta d’ingresso a tutti gli organi addominali, attraverso il Cord Burning sigilliamo “ermeticamente” il cordone, impedendo l’ingresso di eventuali agenti patogeni esterni nell’organismo del neonato. Inoltre, il calore prodotto durante questa pratica aiuta a portare nel corpo del neonato fino all’ultima stilla di sangue cordonale, procurando una tonicità addominale fondamentale subito dopo la nascita. Attraverso il calore aiutiamo il bambino appena nato anche nella digestione, riducendo la tendenza a sviluppare l’ittero. Ritengo inoltre che sia fondamentale sottolineare l’importanza del valore “spirituale” di questa tecnica: raramente sarà possibile ricreare in futuro quel momento di raccoglimento scaturito dallo stare insieme, in silenzio, per alcuni minuti, intorno a mamma e neonato, recitando, se si vuole, una preghiera o un ringraziamento per la vita appena arrivata. Un modo di riappropriarci dei saperi antichi, celebrando attraverso questo rito uno dei passaggi salienti dell’essere umano: quello dalla vita intrauterina a quella extrauterina. Ma come si attua il Cord Burning? È davvero semplice! Basta avvolgere il neonato in una coperta e farne fuoriuscire il cordone. Ricopriamo con un foglio di alluminio un pezzo di cartone e disponiamolo a circa 5 cm dall’ombelico del bambino, disponendo sul cartone il pezzo di cordone da bruciare e facendo in modo che non tocchi il bambino, perché il cordone ombelicale rimane caldo per un minuto quando lo bruciamo. Durante la pratica tiriamo delicatamente il cordone da una parte e dall’altra (occorre che siano due persone a farlo) e ruotiamo lentamente. Assicuriamoci infine che il cordone sia completamente cauterizzato, quindi ermeticamente chiuso. È una pratica molto semplice, e poiché bruciare il cordone richiede tempo (circa dieci minuti), questa pratica acquista un significato quasi magico: osservare il bambino che sonnecchia sulla mamma rilassata e guardare la fiamma che brucia ci fa riflettere sull’importanza della lentezza e sulla Sacralità della Nascita. Foto di Apple Blossom Families
- LA MATERNITÀ TRA PRESENTE E PASSATO
Il percorso della maternità è rappresentato da cambiamenti importanti che coinvolgono profondamente la donna sotto vari aspetti. Sebbene per molte il cambiamento fisico sia difficile da accettare e da gestire, ciò che spesso rappresenta una zavorra per le donne è tutto ciò che la maternità porta con sé a livello psicologico ed emotivo. Viviamo oggi nella cultura dell’apparire, in una società che punta il dito facendoci sentire sbagliati nel momento in cui le nostre emozioni e il nostro sentire tradiscono le aspettative sociali. Questo aspetto riguarda anche la maternità: nei social seguiamo mamme sorridenti e serene con i loro bambini, un mondo idilliaco in cui non c'è spazio per sentimenti ed emozioni negative. Così, nel momento in cui una neo-mamma percepisce in se stessa una sorta di esaurimento fisico ed emotivo, sentendo la stanchezza del dare il suo tempo e la sua energia esclusivamente al bambino appena nato, avverte anche i sensi di colpa e una sensazione di inadeguatezza. Lavoro da tanti anni accompagnando le mamme verso una maggiore consapevolezza riguardo i temi della genitorialità, e soprattutto negli ultimi due anni ho assistito a un acuirsi del disagio più invalidante che la donna possa vivere nel delicato periodo del post partum: la solitudine. Il sentirsi sole e abbandonate dopo il parto non rappresenta un problema nato da due anni a questa parte, ma certamente la pandemia che abbiamo vissuto a livello globale ha isolato ancora di più la donna, che si è trovata dopo il parto come in una sorta di "bolla" tra le mura domestiche con il suo bambino, sola a dover gestire nuovi equilibri, nuove dinamiche, nuove competenze da acquisire. Completamente assorbita dai bisogni di un piccolo umano che dipende totalmente da lei, la neo-mamma deve nutrirlo, vestirlo, cambiargli il pannolino, dargli amore incondizionato e contatto, anche quando si sente esausta e vorrebbe solo riposare. Proprio in questi giorni una delle tante mamme che seguo mi scrive: "Sono in balìa di un post partum che mi ha trovata impreparata, impaurita e sola. Alterno momenti di gioia ad attimi di sconforto e lacrime: un'altalena di emozioni alle volte estenuanti" E ancora un'altra mamma: "Sono stanca. Stanca di non godermi mio figlio, due mesi, ingestibile dalla nascita per qualche disturbo di alimentazione. Povero piccolo, lui non ha colpe. Ma le urla notte e giorno mi devastano, mi sono penetrate nel cervello, sono sfinita. Non ho mai recuperato qualche ora di sonno dal giorno del parto, lungo e dolorosissimo. Tanto dolore da rimanerci scioccata, devastata. E perdere di vista mio figlio, inizialmente. Sono stanca fin dal primo giorno, sono incapace di gestire me stessa ed il mio bambino, nonché il rapporto di coppia che sta andando a scemare, non ci sono più forza e attenzioni per noi adulti. Mi sfogo perché è come dichiararlo nero su bianco. Mi sto facendo aiutare, non ho alternative. Ma sono stanca, e forse un po' mi manca tutto ciò che era prima di questa grande, avventurosa difficoltà che si chiama essere Mamma. Stanca di sentirmi giudicata, stanca di sentirmi dire che non ho l’indole ed il carattere per gestirlo. Stanca di fiato, orecchie e mente. Cuore no, quello resta" Queste sono testimonianze che toccano profondamente l'anima, soprattutto di chi porta dentro di sé un vissuto molto simile. Sono lontani i tempi in cui la donna non era lasciata in balìa di se stessa nel delicato periodo della gravidanza, del parto e del puerperio. "Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio", così recita un Proverbio Africano. E non ci sono parole più azzeccate di queste per esprimere il supporto, il conforto, l’aiuto che momenti come gravidanza, parto e puerperio richiedono nella vita di una donna. Purtroppo non esiste più quel sostegno che un tempo mamma e bambino ricevevano dalle donne competenti (familiari e amiche), che si mettevano a disposizione, anche solo per preparare un pasto caldo o per far riposare la mamma stanca, mentre erano loro stesse ad accudire il bambino. La cultura del distacco e del basso contatto ci ha allontanati dalla nostra stessa natura. Aristotele scriveva che l’uomo è un animale sociale, e aveva ragione: la possibilità di sopravvivenza è garantita solamente dalla cooperazione tra pari. Allora è innaturale che una madre resti sola, senza un tessuto sociale che la contenga e la tuteli. Viviamo inoltre sotto l'influenza di forti condizionamenti culturali che ostacolano la piena espressione dell'istinto materno: una madre che allatta a richiesta e a termine, che pratica il babywearing e l' alto contatto , che risponde efficacemente ai bisogni del proprio bambino, è spesso duramente giudicata e accusata di "viziarlo" Le mamme si trovano così a vivere in antitesi tra due emozioni: da un lato sentono forte il legame con il loro bambino e il bisogno di vivere un contatto fisico ed emotivo con lui; dall’altro sono circondate da persone che in maniera più o meno velata suggeriscono loro di non far prendere "vizi" al bambino. La solitudine che si trova a vivere nel dopo parto e il peso di tutto questo carico emotivo difficile da gestire in un momento così delicato, portano spesso la neomamma a vivere una condizione di esaurimento, che nella peggiore delle ipotesi sfocia in una depressione post partum. Ma cosa si potrebbe fare per evitare tutto questo e per permettere alla donna di vivere con serenità ed equilibrio il post parto? La risposta è semplice. Basterebbe ricreare quel villaggio che sosteneva la neo-mamma fino a qualche tempo fa nel periodo perinatale. Tecnicamente è difficile farlo al giorno d'oggi, o perlomeno farlo con le stesse dinamiche di allora, perché si sa, la vita odierna caratterizzata da un tempo che scorre veloce e dagli impegni frenetici che ci coinvolgono un po' tutti, non permette di creare attorno alla diade una rete tale da essere quantomeno simile a quel villaggio. Ma è responsabilità di tutti noi abbracciare la mamma, il bambino e la famiglia in questo percorso così faticoso del divenire genitori. Accudire la mamma e il bambino, prendersene cura nella tutela del diritto alla Vita e alla Salute, è il compito primario di questa nostra società, che dovrebbe proteggere e tutelare la maternità in una visione di salute e benessere dell'intera umanità.
- MAMME, PAPÀ, SINTONIZZIAMOCI!
Non con la tv, con la radio o altri mezzi di comunicazione, ma con i nostri figli. Si, perché è possibile sintonizzare i nostri stati d’animo a quelli dei nostri bimbi di appena pochi mesi. In realtà, tutte noi mamme, ed anche i papà, lo facciamo già per istinto, perché sentiamo il bisogno innato di connetterci ai nostri figli, di costruire una relazione con loro che non sia solo fatta di pappe e pannolini, ma anche di condivisione delle emozioni. Tutti i genitori reagiscono ai primi sorrisi con altrettante espressioni, o agli occhi strabuzzanti di felicità ed entusiasmo dei propri figli. Questa capacità di connettersi con lo stato d’animo dei nostri bambini ha un nome ben definito: sintonizzazione emotiva , ed è stata ampiamente studiata da Daniel Stern . Questi due termini indicano la capacità, da parte del genitore, di comprendere l’emozione che il bambino sente e manifesta in un determinato momento; una volta compresa, il processo di sintonizzazione continua con il rispecchiamento , sempre da parte del genitore, dello stesso stato d’animo; l’interazione infine termina con il bambino che, da parte sua, si sente rispecchiato dalla risposta del genitore, ciò è per lui di giovamento, dato che ne ricava un’esperienza piacevole e di vicinanza all’altro. Secondo Stern ogni bambino, già da pochi giorni dopo la nascita, è in grado di interagire socialmente con la madre e il padre. Da queste interazioni, fatte di scambi come ad esempio " oh ma che bello questo pupazzetto! È morbido, vero? ", il bambino inizia a sviluppare un senso del sé, una consapevolezza, che porterà con sé, appunto, per il resto della sua esistenza. Da un semplice commento all’ambiente esterno deriva un aspetto così importante della nostra vita. Pensiamo perciò a quanto una sufficiente sintonizzazione sia importante per i nostri figli. Ho scelto di utilizzare appositamente il termine " sufficiente ", perché non sempre riusciamo a cogliere lo stato d’animo dei nostri bambini. Siamo coloro che li conoscono meglio, ma non siamo loro, non possiamo sostituirci alla loro mente, perciò inevitabilmente le nostre sintonizzazioni non saranno mai perfette. Ed è giusto così. Davanti ad un bimbo di dieci mesi, eccitato per una nuova scoperta, noi mostreremo entusiasmo, ma a quale intensità? Questo dipende dal nostro temperamento , dalla storia di vita, dall' educazione affettiva che a nostra volta abbiamo ricevuto. Potremmo mostrare un entusiasmo leggermente superiore e il nostro bambino potrebbe portare la sua eccitazione ad un livello più elevato, ma comunque per lui tollerabile. Oppure potremmo mostrare un livello di felicità inferiore e nostro figlio potrebbe di conseguenza diminuire il proprio entusiasmo. In entrambi i casi si sentirà compreso, accolto e in un momento di piena condivisione affettiva. Ancora, potremmo mostrare un’esagerata eccitazione e nostro figlio come risposta potrebbe iniziare a voltare la testa da un’altra parte, e se non dovessimo cogliere il segnale finirà per piangere, perché lo abbiamo sovrastimolato . Infine, ci potrebbe capitare di non cogliere proprio lo stato d’animo di nostro figlio, che in tutta risposta inizierà ad attivarsi per attirare la nostra attenzione fino a crollare in un pianto disperato. A tutti noi capiterà di non saper leggere le emozioni dei nostri bambini e di dover aggiustare il tiro. Poco male, come detto sopra, le sintonizzazioni perfette non esistono, noi e i nostri figli siamo persone distinte. Ciò che conta, è che impariamo a leggere i segnali che i neonati inviano con il loro comportamento. Quando li stiamo stimolando eccessivamente, interrompono il contatto oculare, girano la testa, se in grado di spostarsi autonomamente, si allontanano, fino a piangere, se continuiamo a persistere con la stimolazione. Al contrario, se davanti alle loro emozioni la nostra espressione rimane impassibile, priva di affettività (quante volte guardiamo senza vedere perché siamo distratti), i bimbi iniziano a mostrarci tutto il loro repertorio di competenze, ci chiamano, richiamano la nostra attenzione, ed iniziano a ricalibrare il loro entusiasmo, avvicinandosi sempre più al nostro stato d’animo. Dipendentemente dalla frequenza con la quale ci sintonizziamo con i nostri figli, questi apprenderanno cose diverse sulle loro emozioni e sulla gestione delle stesse. Potrebbero imparare a lasciarsi andare ad ogni emozione, accogliendola, oppure ad evitare le emozioni spiacevoli, o l’eccessivo entusiasmo, negandosi delle importanti esperienze che fanno parte della vita di ognuno di noi. Perciò, come può esserci utile la sintonizzazione emotiva nel meraviglioso percorso che ogni genitore compie con il proprio bambino? Questa innata capacità che possediamo, e che certamente possiamo affinare, ci permette di creare con i nostri bambini un legame affettivo ricco di condivisione; ci aiuta ad insegnare loro a leggere le emozioni proprie e altrui; a saper cogliere l’aspetto emotivo della vita e farne tesoro, perché le emozioni sono segnali che la nostra mente ci invia per aiutarci a leggere la realtà e a tutelarci nelle situazioni spiacevoli. In ultimo, ma non per importanza, sintonizzarci correttamente con i nostri figli insegna a noi stessi e a loro quanta bellezza c’è nella condivisione delle emozioni , e quanto questo ci possa far sentire vicini all’altro. Bibliografia : Appunti di Psicopatologia dello Sviluppo , UPS, Roma, 2017. Stern D., Il mondo interpersonale del bambino , Bollati Boringhieri, Torino, 1987 .