Vengo accolta al piano terra di una casa bianca, dove l’armonia respira in ogni dettaglio.
Ho il piacere e l’onore di entrare nel ‘sancta sanctorum’ di Maria Ditaranto e di scambiare due chiacchere con lei, l’artista pugliese naturalizzata lucana.
Le domande affollano la mia mente, sono tante: le numerose opere che mi circondano distraggono la mia attenzione.
Mi concentro, partiamo!
Maria quando hai scoperto che la tua vocazione era quella di essere un’artista?
Non c’è un momento in cui lo capisci, io sono me stessa, sono sempre stata così.
Da quando ero piccola sono sempre stata così, ora riesco a far uscire ciò che ho sempre avuto dentro, ho trovato il mezzo per esprimere me stessa.
Sono gli altri che poi possono o meno definirmi un’artista. Io non posso definirmi tale da sola.
Infatti non ho l’abitudine di dire “le mie opere”, dico sempre: “i miei dipinti”; poi è qualcun altro che decide se sono o meno opere d’arte.
Penso a Maria da bambina, hai sempre disegnato? Hai seguito dei corsi?
Ho sempre avuto una matita in mano, ho frequentato una scuola superiore in cui ho sperimentato un po' di tecniche, ho davvero amato la storia dell’arte, grazie a una professoressa che me l’ha fatta amare.
Il mio percorso è iniziato come grafico, è stata un’esperienza che ha contribuito a formarmi per quella che sono diventata.
I tuoi genitori hanno creato un ambiente attorno a te che abbia sostenuto questa passione o è stato un processo naturale?
Prima i genitori non stavano lì a proporre come si fa oggi; essere bambini era una cosa naturale, un mondo a parte che andava per i fatti suoi.
I miei genitori erano contenti di me, e sono orgogliosi oggi di quello che realizzo.
È successo quello che doveva succedere, senza alcun tipo di “stimolo esterno”
È stato difficile conciliare l’essere mamma di una famiglia numerosa con la tua professione? Come sei riuscita a tenere tutto insieme?
Non è stato facile, soprattutto perché viviamo in Basilicata, dove lo spazio per l’arte è davvero minimo. Io ho dedicato tutto il mio tempo alla famiglia e, poi, qualche ritaglio di tempo all’arte.
Ho sempre cercato il tempo per questo. Il tempo e lo spazio.
Il mio luogo per dipingere era ed è tutt’ora la nostra casa, ricordo ancora i miei bambini che giocavano tra i quadri sparsi in giro.
Un giorno per esempio - sorride Maria - è arrivata una freccetta su un quadro che stavo dipingendo, è stato un momento forte, per me e per loro, rende l’idea di quanto sia difficile tenere le due cose separate.
I miei figli hanno sempre vissuto nell’arte: da un lato è stato un bene, perché gli è entrata dentro; dall’altro, però, per me è stato davvero complicato.
Per fare arte bisogna andare in giro, frequentare mostre, incontrare persone. Io l’ho fatto, rubando. Da un po' di anni, ho potuto muovermi di più e i risultati stanno arrivando.
Se mi fossi mossa prima sarebbe stato diverso. Ma va bene così, perché io sono a posto con la mia coscienza, ho cresciuto i miei figli prima, e poi ho dato spazio a me stessa.
Se non l’ho fatto prima, è perché io l’ho voluto fortemente.
Il tempo che riesci a dedicare al dipingere cambia sempre? Hai una tua routine?
Il mio tempo è sempre variabile, le mamme sono il jolly della famiglia, se c’è un buco tu devi essere pronta a tapparlo. Il tempo per l’arte lo ritaglio, sempre.
Non è solo la pittura fisica, c’è tutto un lavoro attorno. Faccio ricerche, leggo di altri artisti, cerco mostre.
Quando posso dipingo, anche di notte.
Siccome siamo donne e abbiamo una forma mentale diversa, ereditata da tutti i trascorsi delle nostre antenate nei secoli, noi sentiamo di dover prima assolvere alle mansioni familiari: la casa pulita, i panni stirati, etc.
Invece per gli uomini è diverso. Se l’uomo fa l’artista, è diverso. Vanno in studio, fanno le loro ore di lavoro e poi rientrano.
Per noi donne no. Fai prima la mamma, la moglie e poi arrivi a te, alla tua produzione artistica.
Il tuo interesse per il mondo femminile, l’attenzione che dedichi alla donna da dove nasce?
Sono sempre stata una ribelle, sin da piccola. Noi tre sorelle eravamo le classiche bambine carine, ordinate, ma io sono stata proprio ribelle, ho vissuto sempre male le ingiustizie e quindi ero quella che si doveva lamentare quando una cosa non andava bene.
Ho sempre sentito il carico dei problemi del mondo. Da sempre. C’era una pressione dentro di me, una chiamata alla quale dovevo rispondere.
Sono nata nel ’68, quindi avrò ereditato questa propensione alla ribellione.
Le tematiche femminili le vivo da donna, sento molto il peso e la responsabilità di dover dire qualcosa attraverso le immagini. Vorrei portare un messaggio.
Nel tempo sono stata identificata con questo messaggio femminista e a me va bene, io ci sono, sono in prima linea.
Da un punto di vista tecnico, è difficile dipingere la donna?
Per niente, la donna nel corso dei secoli è stata sempre modella, musa, ispiratrice.
Il corpo della donna è una delle prime cose che si dipingono; dipingere la donna mi piace ma non voglio essere identificata come un’artista di sole donne, sarebbe riduttivo, voglio parlare di umanità.
Com’è stata per te l’esperienza di dipingere bambini molto piccoli e donne in attesa?
Io sono una mamma, nei quadri metto me stessa, trasporto le mie emozioni, i miei pensieri, il mio vissuto.
Essendo mamma, è venuto fuori questo mondo. Ho iniziato a esporre in galleria, partendo proprio da una mostra che raccontava anche la maternità: per me è stata un’esperienza terapeutica. Lì ho capito quanto per me l’arte sia terapeutica, mezzo per esprimere me stessa, i miei sentimenti. Attraverso l’arte io posso dire e non dire.
Il quadro, mentre lo dipingi, rappresenta un momento abbastanza egoistico, perché lo fai per te stessa, per appagare il bisogno momentaneo del tuo ‘furor’; poi, in un secondo momento, lo restituisci al mondo.
Ciò che arriva all’altro può essere anche completamente diverso da ciò che hai sentito e percepito tu, ed è questa la magia sconvolgente dell’arte.
Io, attraverso i quadri, ho parlato di me, delle mie storie, delle mie gravidanze, che sono state importanti e mi hanno resa quello che sono.
All’interno di essi c’è l’amore per i miei figli, la tenerezza che ho vissuto.
Dentro c’è tutto.
Parliamo di cicatrici, tu le definisci “un segno di vittoria”, come mai?
La cicatrice vuol dire che c’era una ferita e poi una guarigione. Ognuno di noi ne ha, sia di fisiche che di morali.
Dipingere le mie cicatrici mi ha permesso di metterle da parte, di risolvere quelle ferite.
Sono riuscita a parlarne. Sono andata oltre. In passato avevo bisogno di questo, adesso invece sento di avere bisogno di giardini, di ambienti irreali, con animali che infondono serenità.
Nel mio percorso, nel mio crescere, evolvere, cambia il modo di dipingere,
esso mi segue.
Quali sono i tuoi artisti preferiti?
Io adoro Michelangelo, da sempre. E’ una mia passione travolgente.
In generale mi nutro di quello che guardo. Quando faccio un viaggio, la prima cosa che cerco sono le mostre, i musei. Devo andarci da sola, per ore e ore.
Devo ricaricarmi di bellezza.
Qual è il tuo messaggio per le neomamme che ci leggono? Qual è il segreto del tuo equilibrio?
Non abbiamo il controllo sulla vita degli altri; io ho tre figli maschi; ho capito con il tempo che possiamo dargli una dritta, cercare di indicare una direzione basata sui nostri valori, su quello che abbiamo capito della vita, ma ricordando sempre a me stessa che non è detto che sia la strada giusta per loro.
Come mamme possiamo insegnare loro a prendersi cura del proprio corpo, della loro mente. Possiamo guidarli solo fino a un certo punto, poi basta. Dobbiamo fidarci.
Mi rendo conto che non ho nessun diritto di dire loro cosa devono fare della loro vita.
Arriva forse per tutti quel momento in cui pensi di aver sbagliato tutto, ma non è così.
I semi che hai lasciato possono germogliare.
Essere mamma non è un ruolo, lo sei per sempre perché lo scegli ogni giorno.
I figli non sono nostri, non possiamo tenerli sempre con noi, il nostro compito è donarli alla vita, con fiducia.
Per saperne di più sulle opere di Maria Ditaranto, vi invitiamo a visitare il suo sito mariaditaranto.it
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