"MI SENTIVO SOLA, INVISIBILE": IL GRIDO SILENZIOSO DELLE MADRI DIMENTICATE
- Cetty Mazzei, Doula
- 2 mag
- Tempo di lettura: 3 min

C’è un urlo che spesso non si sente, ma che echeggia potente nelle stanze silenziose delle case in cui vive una madre sola.
È un urlo muto, soffocato dal senso del dovere, dalla stanchezza cronica, dai sorrisi che devono sembrare normali per non destare preoccupazione.
Ma a volte, quel dolore sommerso esplode, e può trasformarsi in tragedia.
È successo a Misterbianco, in provincia di Catania: una madre ha lanciato la sua bambina di sette mesi dal balcone.
Una notizia che fa rabbrividire, che colpisce allo stomaco e lascia una scia di domande senza risposta.
Come può una madre compiere un gesto così?
La risposta non è semplice, ma una cosa è certa: nessuna madre felice, serena, supportata, può arrivare a tanto.
Quello che dobbiamo chiederci, con coraggio, è: dov’era la rete che avrebbe dovuto sorreggerla prima che cadesse?
La solitudine che diventa abisso
Molte madri lo sanno: c’è un momento, spesso subito dopo il parto, in cui ci si sente inghiottite da un vuoto.
Tutto il mondo ti dice che dovresti essere felice, che la maternità è il momento più bello della vita, ma dentro, a volte, c’è solo stanchezza, paura, rabbia.
Un senso di inadeguatezza che diventa vergogna. E quella vergogna ti isola.
“Mi sentivo invisibile”, raccontano tante donne.
Invisibili anche quando sono circondate da persone, perché nessuno vede davvero quel peso che portano nel cuore e sul corpo.
Il sonno che manca, il pianto continuo del neonato, la perdita di identità, il corpo che non riconosci più.
E la domanda più dolorosa: “Perché non sono felice?”
Il dolore mentale che nessuno vuole vedere
La depressione post partum non è solo tristezza.
È un macigno che toglie il respiro.
È l’incapacità di connettersi con il proprio bambino.
È la sensazione di essere un pericolo per lui.
Ma spesso viene liquidata come “un po’ di malinconia”, “gli ormoni”, “una fase passeggera"
E così le madri tacciono, per non essere giudicate. Per non sentirsi dire che sono cattive madri.
Nel caso di Misterbianco, probabilmente, quel dolore era già lì da tempo.
Forse era stato taciuto. Forse era stato minimizzato. Forse, come accade troppo spesso, nessuno ha avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
Ed è diventato troppo grande.
Serve ascolto, non giudizio
Non possiamo più permetterci di ignorare il dolore mentale delle madri.
Servono spazi di ascolto reali, liberi da giudizi. Servono reti di supporto che non si limitino a dare consigli, ma che siano presenza viva, concreta.
Che sappiano dire: “Non sei sola. Ti vedo. Ti capisco. Possiamo uscirne insieme”
Perché non basta dire che “una madre non farebbe mai del male a suo figlio”
Dobbiamo chiederci: cosa ha spezzato dentro quella donna, prima che arrivasse a quel gesto? E cosa possiamo fare, oggi, per non lasciare che accada ancora?
Rinascere si può, ma non da sole
Il dolore delle madri non deve più essere un tabù.
A tutte le donne che si sentono sommerse, svuotate, sull’orlo: non siete sbagliate.
Siete umane.
Chiedere aiuto è un atto di forza, non di debolezza. E chi vi è accanto, familiari, amici, operatori, ha il dovere di vedere, ascoltare, tendere la mano.
Perché una madre che rinasce, è una madre che può salvare se stessa e il suo bambino. Ma per rinascere, serve che qualcuno, prima, la prenda per mano.
Foto di Ana Bregantin
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